In tanti anni di racconti africani fatti ad amici e parenti mi sono accorta che ci sono alcuni preconcetti che mistificano la verità della vita in una grande metropoli africana. Ecco quelli più frequenti e che sento l’urgenza di correggere.
Vivere in Africa costa poco
Non è vero per niente, vivere a Dakar costa come vivere a Torino (se si vogliono certi standard di base: acqua corrente, corrente elettrica, una ratio persone-spazio non da campo profughi, cibo variato e mediamente fresco).
Un appartamento per una famiglia di 5 persone costa facilmente fra i 700 e i 1000 euro al mese a cui si aggiungono i costi delle riparazioni perché spesso gli standard di costruzione sono bassi. Comprare un terreno a Dakar è proibitivo (essendo Dakar una penisola non c’è modo di “allargarla” inglobando le periferie, quindi il cocktail è: domanda altissima e offerta ridottissima), comprare una casa per una famiglia di 5 persone in un quartiere residenziale supera largamente le disponibilità di qualunque impiegato o quadro.
Fare la spesa al supermercato costa come in Italia, moltissima frutta/verdura sono importate (il Senegal è un paese al confine con il Sahara e una parte consistente del suo territorio è pre-desertico).
Mangiare il pesce fresco grigliato in spiaggia, però, costa poco.
Sei sempre in spiaggia
Magari! No, anche in Senegal abbiamo una cosa che si chiama lavoro, e tendiamo a farlo quando c’è luce naturale. Però avere il mare raggiungibile facilmente è un benefit a cui ora farei molta fatica a rinunciare.
Se sono tutti Musulmani le donne devono velarsi
No, le donne sono tenute e coprire il capo soltanto in moschea (è vietato anche entrare in pantaloni, per le donne. Nel caso, vanno coperti con un pezzo di tessuto che si drappeggia in vita, il cosidetto pagne). I funerali sono l’unica altra circostanza in cui si invitano le donne a coprire il capo ma è considerato una premura più che un obbligo. “Velarsi” in entrambi i casi significa mettersi un velo in testa; capelli, collo e orecchie possono tranquillamente essere visibili.
Sono indietro rispetto all'Europa
No, sono solo diverse mentalità e diverse traiettorie di sviluppo economico. La rivoluzione digitale sta cambiando il paese ed il continente: molte persone possiedono più di un cellulare e almeno uno smartphone, che sanno usare perfettamente. Pochissimi hanno un conto in banca ma il sistema di pagamento con cellulare esiste da più di dieci anni (complice la familiarità con le rimesse degli espatriati che possono essere riscosse ovunque, anche nel piccolo villaggio sperduto nella brousse). La parola “carta di credito” qui significa “credito telefonico” che può venire convertito in tempo di comunicazione (telefono o internet) oppure in cash.
Rimangono comunque innegabilmente sacche di povertà che vivono come vivevano i miei nonni da giovani, contadini nullatenenti in campagna prima della guerra. Vivere al villaggio significa spesso non avere luce elettrica e/o acqua (o con accesso limitato a certe ore o a certi luoghi), cucinare sul fuoco di legna, non avere accesso ad un’alimentazione varia e corretta e ad un sistema di evacuazione delle acque nere che soddisfi standard di salute.
In Africa conta la comunità e non l'individuo
Qui l’idea che l’individuo abbia dei diritti di affermazione personale che possono prevaricare gli interessi della comunità è certamente ancora prematura. In Senegal l’individuo è nella maggior parte dei casi subordinato e funzionale agli interessi della comunità, anche se col tempo ho scoperto che è più corretto parlare di famiglia. Estesa quanto vuoi, ma famiglia. Un villaggio è facilmente abitato da una sola famiglia allargata quindi l’idea di famiglia e comunità si sovrappongono, ma in città le cose cambiano e ci si accorge che il senso della famiglia prevale sulla comunità. Riconoscere un certo grado di parentela, per quanto lasco, stabilisce l’appartenenza ad un gruppo da cui gli altri sono esclusi e che garantisce certi privilegi.
Un figlio esiste socialmente in relazione ai propri genitori, al cui volere si sottomette finchè questi sono in vita, ed in relazione all’ordine di apparizione nella famiglia: il primogenito ha più diritti e più doveri dei figli minori. Ancora di più se maschio, perché normalmente una donna, primogenita o meno, quando si sposa integra la famiglia del marito e molti dei suoi diritti/doveri verso la famiglia di origine si annacquano.
Ancora oggi una delle cose più terribili per un figlio è sporcare la reputazione della famiglia (ad esempio sposandosi senza il benestare dei genitori, vivendo la propria omosessualità o scegliendo di non emigrare).
E’ molto forte l’idea della comunità/famiglia ma assolutamente inesistente l’idea di bene comune. Si butta l’immondizia per terra, si guida con arroganza (ma sorridendo), pagare le tasse per avere dei servizi è un concetto ancora molto acerbo.