Se venite in Senegal o se avete un amico/conoscente senegalese e/o musulmano e volete fargli piacere, dovete avere in testa tre parole che qui si usano senza contare quante volte.
Sono parole arabe legate all’Islam, ma le ho sentite usare anche da Cristiani, talmente sono parte della vulgata.
La prima, più conosciuta ma a volte mal interpretata, è INCHALLAH (scrivetelo come vi piace). Vuol dire se/come/perché piace a Dio.
Scambio tipico “Esco a fare una commissione, torno fra un’ora”
Risposta: “Inchallah. Ciao”
Non significa che tornerò solo se Dio vorrà essere così clemente da pensare che se una macchina mi investe tutta la mia famiglia va a gambe all’aria. Vuol dire piuttosto che tornerò fra un’oretta proprio perché a Dio piace questo mio piano di andare a fare una commissione proprio ora.
Rimane, sicuramente, un certo minimo grado di incertezza sul mio ritorno legato al fatto che il Senegalese, e l’Africano in generale, sa che c’è una grossa fetta di vita sulla quale non abbiamo il controllo (noi la chiamiamo sfiga), ma in linea di massima nessuno a casa mia passa l’oretta della mia assenza a pregare che io torni.
“Inchallah” significa riconoscere che l’uomo propone e Dio dispone (le cose in modo che le cose vadano come da programma) ma significa anche accettare che, se le cose non vanno come vogliamo noi, vanno comunque come vuole Dio. Quindi vanno bene in ogni caso. Questa parte per la mia testa laica è durissima da accettare.
ALHAMDOULILLAH è la traduzione di “Grazie a Dio”, quindi la sentite almeno cinquante volte al giorno, insieme ai saluti e poi insieme a tutto il resto. Qualunque cosa ordinaria fra il neutro e il buono accade sempre grazie a Dio.
Stai bene? Alhamdoulillah.
Hai avuto una buona giornata/un buon voto a scuola/il lavoro dei tuoi sogni? Alhamdoulillah.
Alhamdoulillah lo vedete anche scritto sulle auto, sui trasporti in comune (forse indica che grazie a Dio, questi mezzi che hanno visto tempi migliori, sono ancora, nonostante tutto, tenacemente e pericolosamente, in circolazione).
Io ho imparato ad usare quest’espressione nei saluti (anche se ancora faccio fatica) ma mi da grande soddisfazione usarlo quando un membro della mia famiglia riesce in un compito molto di base ma che a loro sembra titanico, ed infatti mi viene comunicato con emozione (un paio di calze trovate nel cassetto in cui io avevo previsto che fossero? Alhamdoulillah! Un sacco della roba sporca versato accanto alla lavatrice dopo due settimane? Alhamdoulillah! Una tazzina del caffé che viene finalmente posta nell’acquaio? Alhamdoulillah! Un piatto di penne al pomodoro terminato dopo una cena lunga come una partita di baseball? Alhamdoulillah!).
MASHALLAH è una variante di “Dio è grande” e si usa in due casi distinti: per un avvenimento/exploit, che evidentemente è stato reso possibile da una spintarella di Dio. Un matrimonio, un bambino che nasce, un bel voto quando sappiamo che eri una schiappa ma hai studiato tanto. Io che dico una frase in wolof? tutti “ah Mashallah”. In generale qualcosa che richiede uno sforzo, una preparazione: è la celebrazione di un goal.
Sempre di celebrazione si parla quando si fa l’altro uso della parola Mashallah: quando si riceve direttamente o indirettamente un complimento. Esempio tipico: “Come sei bella!” Il complimento ci fa piacere, ma per non essere arroganti si dice che “è per la gloria di Dio”. Nessuno si sogna di rispondere “grazie!” perché non siamo belli per essere belli, siamo belli per celebrare Dio. E’ Dio che ci ha fatti belli.
Tutto questo tirare in ballo Dio a volte mi fa stizzire perché ho l’impressione che non sia mai merito mio/nostro, io vorrei essere celebrata per il mazzo che sta dietro quella frasetta minima in wolof. Ma poi mi accorgo che questa è una società in cui il rapporto con Dio, con la mistica, con tutto quello che non è dimostrabile con la logica è un elemento fondamentale (nel senso di importante, ma anche proprio di stare alla base).
Noi occidentali pensiamo di poter controllare tutto e quando le cose non vanno come vogliamo è perché non siamo stati abbastanza bravi oppure siamo stati sfortunati. Gli africani (generalizzando, ovviamente) mettono nelle mani di Dio tutto quello che hanno e anche quello che non hanno, accettano la propria limitatezza, quasi la coccolano. Per loro il disegno divino è insondabile, e noi siamo al suo servizio.