Era la fine dell’estate, i figli più giovani del mio marito nuovo di pacca avevano 11 e 13 anni e avevano passato l’estate da noi. L’estate, si sa, va un po’ tutto bene, si sta svegli fino a tardi, si mangia il gelato, poi figurarsi se me ne fregava di dare direttive a questi due simpatici ragazzini che mi trovavano esotica e più eccitante della loro mamma perché li portavo in piscina e ai laboratori di animazione in 3D.
Poi l’estate è finita e, senza udienze coi giudici o lettere di avvocati (ma nemmeno una telefonata amichevole), ecco che bisognava svegliarsi la mattina presto, controllare i compiti, lavare uniformi di scuola, preparare pranzi al sacco.
Diventavo genitore in corsa, senza passare dal via, di due pre-adolescenti di cui non sapevo un tubo. Senza cerimonie, senza due parole d’incoraggiamento, senza un tesserino. Ho capito così che i criteri per l’allevamento della prole altrui in questo paese sono scriteriati: essere femmina in età adulta.
Il primo anno i figli uscivano da scuola, venivano al mio ufficio a piedi e tornavamo a casa insieme. Arrivavamo a casa alle 18,30 e fino alle 23 io non salivo nemmeno in camera a cambiarmi o fare una doccia, ero l’apoteosi della disorganizzazione. Prevedevo cene con piatti elaborati (che richiedevano tutta la mia concentrazione, basandosi spesso su ingredienti a me sconosciuti al tempo, come carne e pollo) ma che riscuotevano un successo inversamente proporzionale ai miei sforzi; controllavo compiti, facevo ripetere lezioni e ripassavo teoremi. Cascavo a letto in coma.
Alla fine del primo anno di matrignaggio ho capito due cose che mi hanno fatto svoltare: 1) essere genitori si riassume in due mosse: usare buon senso (40%) e avere moltissima pazienza (60%) e 2) la donna di servizio poteva essere pagata di più risolvere la questione cena in modo rapido ed efficace.
Sono sopravvissuta alla grande a questi primi anni anche grazie al fatto che la madre dei miei figliastri non si è mai impicciata di cosa si fa a casa nostra, garantito che rispettiamo le due regole fondamentali a tavola: no maiale e no alcol. I miei metodi educativi sono sicuramente considerati bizzarri ma non pericolosi (a casa nostra anche il maschio apparecchia e sparecchia la tavola), le fatture della scuola sono pagate, i figli sono nutriti e vestiti. Il minimo sindacale arriva.
Allevare figli altrui non è semplice, e la differenza di cultura e aspettative non aiuta, ma i figli senegalesi sono educati nel rispetto degli adulti in generale, nessuno dei miei si sognerebbe mai di dirmi “non sei mia madre” o sbattere la porta dopo una discussione.
Ora questi fringuelli che accompagnavo in piscina sono dei giovani adulti, non preparo più il pranzo al sacco perché sanno svaligiare il frigo da soli, non rivedo più le lezioni con loro (ma mi incazzo se non prendono bei voti) e loro spesso accettano le mie regole con l’aria di non capirle fino in fondo. Ma quello mi sembra un segno di un buon rapporto genitori-figli.
La mia esperienza di matrigna in un paese dove ti mettono un gagno in braccio e se ne vanno (in senso metaforico ma non solo…) mi ha permesso una certa leggerezza nell’essere genitore. Sai tutta quella storia che i bambini non vengono con il libretto delle istruzioni eccetera? Anche me le avessero date, le istruzioni, io sono una con poca pazienza e mi sarei limitata a leggere la griglia coi simboli: non capovolgere, maneggiare con cura, non lavare a 90°.