Andando in giro per Dakar capita di vedere ad un angolo di strada delle tende annodate a quattro pali che formano come una stanza. Sono le gargottes, dei piccoli ristoranti senza pretese improvvisati con un tavolo e una panca, dove a colazione si mangiano panini con uova, con spaghetti, con fegato e cipolle, con piselli al peperoncino e per pranzo si può avere l’immancabile piatto di riso ad un prezzo irrisorio.

Fino a vent’anni fa per un senegalese medio mangiare fuori casa a mezzogiorno era impensabile, a casa c’era la moglie/mamma che preparava, figli e marito tornavano a casa a pranzo e anche quando non si tornava a casa a pranzo, si aspettava di rincasare per mangiare. In Senegal non esiste il baretto per il pranzo veloce e nessun adulto si sogna di mangiare un panino a mezzogiorno, il senegalese medio vuole pranzare con suo riso e nemmeno la rivoluzione economica e dell’organizzazione familiare gli ha ancora fatto cambiare idea.

Fino agli anni ’90 nei quartieri residenziali della piccola e media borghesia l’unica alternativa al pasto domestico era la tangana (in wolof significa “è caldo”, cioè un posto dove si mangia/beve qualcosa di caldo), era un hole in the wall si direbbe in America, frequentato dai ragazzi, dove fino a tarda notte si poteva mangiare pane e burro e bere kinkelibà (un infuso di foglie), erano principalmente gli “stranieri” maliani e guineani che le gestivano e nessuno adulto ci avrebbe mai messo piede.

Nei quartieri più di periferia l’abitudine a mangiare fuori in ristoranti di fortuna era più diffusa (spesso la mamma/moglie doveva anche lei lavorare, non aveva tempo di stare a casa a preparare e di certo non c’erano i mezzi per avere una cuoca in casa), cosi nei luoghi cittadini frequentati dagli abitanti della periferia (cantieri, mercati e porto, dove trovavano lavoro alla giornata) arrivarono i fast food ante litteram: le gargottes che oggi sorgono ancora dove si installa un cantiere, dove c’è una stazione di taxi, dove si intersecano le strade principali e la gente scende da un autobus per prenderne un altro.

Il modo di consumare i pasti, in città almeno, sta cambiando il paese, mangiare il pranzo fuori di casa sta diventando frequente: le donne in gran parte non sono più casalinghe (e non è raro che quelle dei ceti più popolari gestiscano una gargotte, che poi alla fine è il nostro bar che ti fa il piatto di pasta), i ragazzi stanno a scuola tutto il giorno e mangiano fast-food occidentale; si sta diffondendo l’abitudine dei power lunch dove si discute d’affari, i ristoranti internazionali di buon/alto livello si sono moltiplicati esponenzialmente nei miei nove anni di Senegal e sono per lo più rivolti al businessman africano (uomo) semi-giovane mentre le businesswomen preferiscono ristoranti più low key, relativamente vegetariani (altra novità impensabile dieci anni fa).

Ce n’è un po’ per tutti, resta triste solo la generazione dei cinquantenni piccolo medio borghesi, orfani del pranzo della moglie devota, disgustati dal ristorante improvvisato, ma comunque in generale del pasto extra moenia, insensibili al richiamo di un’alternativa al riso. Amen.